venerdì 8 febbraio 2013

UNA POSIZIONE SCOMODA

da  http://www.fanpage.it/spunti-di-musica-poesia-e-lettura-del-mare-e-dei-naufragi/
Caspar David Friedrich
Il viaggiatore sopra il mare di nebbia
1818


“Una posizione scomoda”

Una ondata improvvisa lo prese in piena faccia, infradiciandolo per bene da capo a piedi. Gli occhiali gli erano volati chissà dove. D’istinto aveva portato le mani al viso per stropicciarsi gli occhi, ancora increduli. Bagnato lo era per davvero, ma ancora non se ne capacitava. L’odore che sentiva penetrargli le narici era proprio quello forte di salsedine e i versi che udiva erano i richiami tipici dei gabbiani in volo. Davanti aveva proprio il mare, e che mare! Le onde rabbiose, tipiche di una burrasca, si infrangevano con impeto contro la scogliera scalandola ben oltre la sua altezza, con schizzi prepotenti che la sferzavano. Aveva quasi le vertigini e temeva di essere trascinato giù da quelle ondate che già l’avevano raggiunto. Non capiva perché ci si fosse ritrovato. Aveva si voglia di vedere uno spettacolo del genere, magari da più lontano. Era senz’altro eccitato per l’entusiasmo che prorompeva da una tale dimostrazione di forza, ma addirittura ritrovarcisi proprio nel mezzo e, per giunta, persino senza gli occhiali che gli consentivano di ammirarla, non lo rendeva entusiasta.  Voleva scostarsi, arretrare di qualche passo, ma non riusciva. Dietro di lui sembrava ci fosse qualcosa di freddo e di duro che gli impediva di fare ciò che avrebbe voluto. Era proprio sull’orlo del precipizio della scogliera e il mare non sembrava voler smettere di agitarsi. Il cielo era cupo e minacciava un temporale. Il vento dal canto suo non cessava di soffiare, anzi spronava. Del sole se ne intravvedeva appena il pallore in un angolo del cielo.  Cercava di ricordare, forse facendo a ritroso i passi compiuti sarebbe riuscito a sottrarsi da questa situazione a dir poco imbarazzante. Non ne aveva il tempo: un’altra ondata, certamente più violenta dell’altra, lo raggiungeva e per un attimo, quasi gli toglieva il respiro. Per un soffio riusciva a restare in piedi e a non cadere appresso all’onda. Quanto sarebbe riuscito a resistere?
                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                           Aveva voglia di chiedere aiuto, ma a chi? Davanti e ai suoi piedi c’era la Natura, in piena espressione di potenza, accanto a lui nessuno. I gabbiani sembravano scomparsi.  Gli era parso di udire anche delle voci, ma indistinte e lontane, quasi che provenissero da dietro. Lui non poteva voltarsi e vedere cosa c’era oltre quella superficie liscia e solida che aveva alle spalle. Forse il suo destino era proprio nello stare in bilico in quella strana posizione, quasi a ricevere i rimbrotti e gli sberleffi senza poter replicare. Provava a ricordare, ma non riusciva a vedersi in nessun’altro luogo che in quello, quasi che qualcuno ce lo avesse collocato apposta per esprimere o per affermare qualche significato particolare che a lui personalmente sfuggiva. Non era il momento di ragionare: il cielo si era rabbuiato ulteriormente, il vento soffiava più forte e il mare? Già il mare! Si era ancora più ingrossato e si preparava.  Faceva un respiro profondo. Lui avrebbe voluto gridare, ma a che scopo? Sembrava la zampata di una belva gigantesca, quell’onda improvvisa che, con uno scatto fulmineo, gli era sopra e addosso con una forza immensa. Non sapeva più dove si trovava, né se ancora esisteva, mentre trascinato di peso come fosse un fuscello, veniva risucchiato in un attimo giù nel baratro. Di lui era rimasto un vuoto insignificante, uno schizzo dell’onda che l’aveva rapito, impresso su quella superficie dura e sulla quale, grondando, scivolava giù. Ora c’era solo il mare. Si sentivano in lontananza delle voci, ma non facevano parte di questa scena; era come se oltre quella barriera liscia e solida si muovesse qualcosa che esulava da tutto quello che era qui. Il mare stesso aveva provato ad oltrepassarla, ma con flebili risultati. Eppure non era spessa e, per giunta, trasparente. Si intravvedevano delle sagome muoversi al di là di essa e si riconosceva uno spazio di una certa ampiezza che aveva dei suoi colori ed un minimo di vitalità.

                                                                                                                                                                                                                                                                           
Il ragazzino si avvicinava, sul muro erano appesi diversi quadri. In tutti era rappresentato il mare, dipinto con stili e con tecniche diverse. Gli autori vi avevano voluto esprimere le diverse immagini che avevano di questo importante elemento della natura. C’erano mari placidi che cullavano il sole al tramonto, mari con barche che lo solcavano, più o meno grandi. Ma quello che decisamente lo attirava era il quadro più grande, collocato al centro di quella parete. In esso era un mare in piena burrasca che sferzava con onde gigantesche una scogliera. Il cielo era cupo e un sole quasi inesistente non riusciva a mostrare si sé che un accenno di pallore. Lo sguardo dell’artista si era soffermato a guardare questa scena dalla cima e verso il basso. Al centro della scena vi era come un vuoto, quasi che in precedenza vi fosse stato ritratto qualcosa che ora non c’era più. In effetti il ragazzino alcuni minuti prima, entrando nella sala, aveva gettato una fugace occhiata a quella parete ed era rimasto colpito dal fatto che il quadro collocato al centro di essa, proprio nella parte centrale mostrasse un uomo, visto di spalle, che stava in bilico proprio sul limitare di una scogliera, mentre gli spruzzi di onde gigantesche quasi lo raggiungevano. Ora che vi stava davanti, non poteva non restare a bocca aperta: l’uomo visto di spalle non c’era più e sembrava non esserne rimasta traccia, eccetto un minuscolo paio di occhialetti tondi incastrati tra la scogliera e la cornice del vetro. La cosa ancora più strana era però una evidente presenza di liquido, schizzato sul vetro e chiaramente colato dalla tela lungo il muro e fermo all’incrocio di questa col pavimento in moquette, dove si stava rapidamente assorbendo. Intorno vi erano diversi visitatori, ma nessuno sembrava essersi accorto di nulla. Erano tutti intenti ad osservare con la dovuta attenzione le opere d’arte che avevano davanti. Era già difficile concentrarsi per riuscire a recepire il messaggio che ogni artista aveva voluto fissare dentro la propria opera. Figuriamoci se poi l’opera si permetteva di modificare il significato del suo stesso esistere. Forse il ragazzino avrà provato a raccontare a qualcuno quello che aveva notato, ma sarà riuscito a renderlo visibile anche agli occhi altrui? Non era mica facile spiegarlo come un quadro appeso al contrario e di cui tutti conoscevano il giusto verso! Magari ne avrà tratto un qualche insegnamento: “Il mare aveva una gran voglia di far vedere all’uomo quello che era in grado di fare, anche senza di lui …”




www.associazionemarel.net/contest1/1-contest-una-posizione-scomoda-bruno-mattu



(da www.landasurreale.blogspot.com , post pubblicato l' 8 settembre 2011)

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