martedì 26 febbraio 2013

AVANZI DI PERSONE


da  http://www.ecoo.it/s/riciclo-plastica/



Modellati a immagine, non seppero animarsi.
Impararono a muoversi, a parlare,
in poche parole vissero.

Oggetti di plastica e di metallo li circondarono:
sembravano quasi veri al loro confronto,
ma era un'impressione dovuta al contrasto,
quelli non si articolavano.

In fondo all'Amore restava
una questione di costole,
o così almeno gli era stato detto.

Praticavano perfettamente diverse discipline,
la preferita l'indifferenza,
gli riusciva bene,
forse perché vi si esercitavano spesso.

Uscivano di frequente, e se entravano in qualcosa
vi erano sempre contenuti,
come semplici oggetti.



( da www.landasurreale.blogspot.com , post pubblicato il 5 gennaio 2012 )


Il presente scritto è parte integrante della raccolta "Piano di Supremo Attrito" scritto nel 1988

IL PROCESSO


da  http://www.giovinazzolive.it/news/Cronaca/201122/news.aspx



Il giudice istruttore doveva istruire il processo, 
ma quello era del tutto analfabeta e si doveva iniziare dalla prima elementare: 
si sa i tempi della giustizia sono lunghi!



( da www.umorismoperdentiere.blogspot.com , post pubblicato il 8 settembre 2011)

lunedì 25 febbraio 2013

CHE TEMPO FA ?


da  http://www.sarconiweb.it/news/prova/985-previsioni-meteo-per-la-basilicata-.html



Che il clima fosse divenuto bizzarro era ormai considerato un fatto acquisito ed un po’ tutti ci si era adeguati abbigliandosi in modo consono a prevedere, almeno in parte, tutte le sue possibili e repentine mutazioni.
La cosa però che lasciava sconcertati era l’effetto che questo scombinamento continuo poteva avere sul comportamento delle persone, che in alcuni casi raggiungeva il paradosso.
In particolare un individuo trascorreva intere giornate nel percorrere il breve tragitto che separava il suo appartamento, collocato nei primi piani di un condominio, dal portone del palazzo.
Da questo arrivava appena ad affacciarsi ed alle persone che transitavano sulla strada poneva sempre il medesimo quesito.
A seconda della risposta che ne otteneva, valutava rapidamente se gli indumenti che aveva indosso erano appropriati e, se non lo erano, rientrava immediatamente per cambiarli.
Poiché il tempo era più mutevole di lui, come le risposte che gli venivano restituite, anche nel giro di pochi attimi, non riusciva mai a trovarsi in sintonia e non faceva altro che ritornare sui propri passi.
Non era mai convinto delle frasi che gli venivano dette e richiedeva conferma a più persone, non trovandola affatto.


( da www.raccontiasprazzi.blogspot.com , post pubblicato il 23 settembre 2011 )

domenica 24 febbraio 2013

I CATTIVI DELLE FIABE


da  http://www.omero.it/index.php?amount=0&blogid=16&query=il&startpos=2870



Il lupo cattivo delle fiabe si era stufato di stare chiuso dentro delle storie che finivano sempre male per lui. Era stanco del ruolo che doveva interpretare e un giorno senza dire niente se ne andò.
I bambini che ascoltavano le fiabe che raccontavano loro i nonni o le mamme prima di andare a letto, all’inizio non ci fecero caso. Ma quando le fiabe andavano avanti, si sentiva che mancava qualcosa.
Cappuccetto Rosso, ad esempio, poteva fermarsi nel bosco tutto il tempo che voleva senza che le potesse capitare nulla di brutto. I bambini si annoiavano a sentire che continuava a raccogliere tutto quello che voleva senza che incontrasse nessun lupo.
Non era solo il lupo che si era stufato. Anche le streghe, gli orchi, le matrigne e tutti i cattivi se ne andarono.
Le fiabe non dicevano più nulla e i bambini non provavano più gusto ad ascoltarle.
Hansel e Gretel erano diventati obesi a furia di mangiare la casetta di marzapane e non riuscivano più a fare nemmeno un passo, di trovare tesori e ritornare a casa nemmeno a parlarne.
Biancaneve era rimasta a servizio a casa dei Sette Nani che non le concedevano nemmeno il giorno di riposo e doveva rassettare tutti i giorni.
Cenerentola aveva smesso di lustrare la casa e la sporcizia l’aveva sommersa al punto che nessun emissario del Principe avrebbe osato venire a cercarla.
La Bella Addormentata aveva messo su un atelier di moda ed i suoi capi avevano invaso tutto il regno di suo padre, ossessionandone i sudditi al punto da spingerli ad espatriare in altri regni meno soffocati dalla moda.
Ma anche i cattivi non se la passavano bene.
Arrivati nel mondo reale, avevano presto imparato che i cattivi che vi avevano trovato lo erano molto più di loro e dopo poco preferirono tornare al loro posto nelle fiabe.


(da www.raccontisuipalmidellemani.blogspot.com , post pubblicato il 17 settembre 2011 )

ROBINSON

da http://www.tripadvisor.it/ShowUserReviews-g308258-d312160-r78210600-Matamanoa_Island_Resort-Matamanoa_Island_Mamanuca_Islands.html





Ineccepibile naufrago
smise di considerare la sua terra un'isola.

Girò intorno al suo problema…forse più a lungo di quanto si aspettasse
non trovando che una soluzione: l'attesa.

Provò a coltivare
ma i frutti che non venivano
erano la lampante espressione
dell'aridità della sua cultura.

Stanco di seminare
s'immaginò cacciatore
ma non trovò cosa che potesse definirsi 
preda.

Seminò se stesso
sotto la propria coltre di erbe selvagge
sconfiggendo la propria aridità.

Rinacque
                rileggendosi
                                    più piano
                                                   voltando più lentamente
                                                                                        le sue pagine.



La vegetazione lussureggiava i suoi pensieri
che vi si adagiavano modellandola
a suo piacimento.

Si rivide in seguito
completamente trasformato
non gli bastò uno specchio per riconoscersi
e ne fu contento.




Dipinta a forma di veliero
la sua libertà si era presto dileguata.
Restò solo "civiltà".


Era bastata una nave:
quattro vele galleggianti
sopra il mare.


Trascinato via dalle più profonde radici
raccolse i suoi avanzi nascondendoli;
dalle abitudini antiche proruppe un seguito,
ma non fu lo stesso.



La sua isola era rimasta lì
indifferentemente abbandonata.



( da www.landasurreale.blogspot.com , post pubblicato il 24 dicembre 2011)


Il presente scritto è parte integrante della raccolta "Piano di Supremo Attrito, scritto nel 1988

sabato 23 febbraio 2013

UNA DOVEROSA PREMESSA


Magritte
da "Magritte" - Suzi Gablik - Rusconi Editore 1988
pag. 89

"L'11 novembre del 1985, un'estate di San Martino, ha improvvisamente iniziato ad esprimersi in versi senza che ne sapesse dare una ragione. Il tutto è accaduto dal ricordo di un'immagine di un quadro di Magritte, visto anni prima nelle pagine di un libro." (dalla 4° di copertina del libro "Impronte" collana Nuove Voci, Edizioni Il Filo, Roma febbraio 2004)  http://www.deastore.com/autore/Bruno%20Mattu.html

Non ci sarebbe stato alcun motivo per iniziare a scrivere in versi se non fosse stato per quell'improvviso scaturire di parole slegate da qualsiasi desiderio di prosa. Tanto più questa l'aveva prima trattenuto e costretto a seguire pedissequamente i suoi dettami, tanto più ora la sua penna balbettava e si affannava ad inseguire rime e parole tronche cui i suoi pensieri non potevano sottrarsi. La poesia che aveva solo studiato sui libri di scuola negli anni precedenti, senza provare alcun vero interesse, improvvisamente gli si parava davanti e lo costringeva a rivolgergli la parola, ma solo nella sua lingua.


(da www.andarperpoesie.blogspot.com , post pubblicato il 9 settembre 2011)

E LA LUCE ?


da  http://natura.forpassion.net/tag/energia/




Le giornate autunnali di inizio dicembre erano molto brevi e già alle sedici e trenta il sole smetteva di illuminare e si nascondeva oltre l’orizzonte, lasciando che le ombre si allungassero ovunque, inghiottendo le strade e le persone che vi si trovavano a transitare.
Per fortuna già ai primi segni dell’imbrunire, le lampadine poste in cima ai lampioni si accendevano e con la loro luce rischiaravano dalle tenebre, consentendo ai passanti di vedere lungo il percorso che facevano.
Era consuetudine che tutto ciò si verificasse e nessuno più badava a preoccuparsene.
Un pomeriggio tardi, però, le lampadine non si accesero e le strade piombarono in un buio completo.
Solo il provenire delle macchine con i loro fanali accesi consentiva alle persone che si trovavano per strada di vedere dove mettevano i loro piedi.
Ognuno camminava stretto nei suoi indumenti, un po’ per il freddo che faceva ed un po’ per la paura che provava nel trovarsi a camminare circondato da tante tenebre.
Una strada in particolare non era molto trafficata ed aveva dei marciapiedi comodi, file di alberi lungo i due lati e facciate di palazzi dense di sculture ed aggetti che al buio assumevano un aspetto sinistro. Per giunta, in un punto vi era una rientranza in cui si sarebbe potuto acquattare qualcuno senza essere visto e balzare fuori all’improvviso.
Le poche persone che vi transitavano quella sera lo facevano per necessità e se avessero potuto scegliere, ne avrebbero fatto volentieri a meno.
In tutte le altre sere nessuno si era preoccupato di quella rientranza, questa volta però che si trovava ad avvicinarsi veniva improvvisamente raggiunto da una voce imperiosa che lo faceva sobbalzare con una domanda apparentemente banale.
All’istinto di voltarsi verso di essa, non riconoscendo nulla in quel buio scuro che la caratterizzava, non sapendo farfugliare che risposte di circostanza, ma del tutto inadatte, seguiva prepotente il desiderio di accelerare il passo e lo si metteva rapidamente in pratica, conservando di quell’inusuale esperienza solo un istintivo e profondo timore.
Il medesimo comportamento ripetuto per tutta quella sera lasciava quella voce senza una risposta adeguata, nonostante il reiterarsi della identica domanda alle più disparate persone.

La sera dopo, fortunatamente illuminata dalle solite lampadine, alcuni di quei passanti sono ritornati su quella strada ed avvicinatisi a quella rientranza, curiosi di scoprire la fonte di quella voce che li aveva turbati la sera prima, non vi trovavano nessuna persona, né alcuna traccia di una sua presenza in quel punto.
Delusi per non aver trovato soddisfazione a tutti gli interrogativi  che in seguito a quell’inatteso incontro si erano suscitati nei loro animi, erano in procinto di tornare sui loro passi quando, voltandosi ancora intorno, proprio guardando verso l’angolo più nascosto della rientranza, notavano un minuscolo disegno raffigurante una piccola lampadina ad incandescenza ed una scritta in caratteri microscopici. Avvicinatisi per leggerla si sorprendevano delle parole che vi trovavano impresse: “ La Luce che vi eravate persa e di cui sentivate molto la mancanza era la stessa che abitualmente sprecavate senza preoccuparvene. Vi ho solo voluto fare un piccolo scherzo per farvi provare come ci si può sentire senza averne più. Non me ne vogliate. Un amico. “
“P.S. : Prendetevene cura!”


(da www.raccontiasprazzi.blogspot.com , post pubblicato il 23 settembre 2011 )

Earthquakes journalistic

From  http://businesspeople.it/Business/Media/Rai-black-out-per-avaria_15398


News unfounded
The journalist who had built
a brilliant article
landslide miserably.
Front of the cameras
million viewers
remain glued to their screens
interminable direct.
Fortunately,
at dawn,
a blackout general
allows the posting!


( from www.humordenture.blogspot.com , post published September 29, 2012)

L'identità di uno smemorato


da  http://it.wikipedia.org/wiki/File:Stazione_di_Cattolica.jpg



Lo avevano trovato disteso su di una panchina della stazione. Dormiva avvolto nei vestiti che gli erano rimasti. Indosso non aveva documenti, non si ricordava chi fosse, né cosa facesse in quel posto. Era lì da un po’.
Le guardie lo avevano scortato all’ufficio della stazione. Il dirigente gli aveva posto delle domande, ma le sue risposte erano evasive. Continuando a interrogarlo, sembrava si facesse un po’ di luce nei suoi ricordi avvolti dalle nebbie.
Aveva perduto qualcosa oltre alla memoria, ma non sapeva cosa fosse.
Incuriositi da questo signore, provavano a condurlo all’ufficio oggetti smarriti: magari la vista di qualche accessorio perduto poteva aiutarlo a ricordare. L’impiegato era gentile e non si tirava indietro, anche se l’impresa sembrava subito ardua. Il dirigente e le guardie, vista la piega che prendeva la questione e dato che non avevano proprio del tempo da perdere, lo affidavano all’impiegato e si allontanavano per tornare ai loro impegni.
Ci voleva buona mezz’ora e, a furia di tirare fuori cose smarrite di tutti i generi: ombrelli, cappelli, cravatte, borse, cappotti, maglioni, calzoni, scarpe, orologi, etc. Improvvisamente, davanti un vecchio orologio da polso, con il cinturino in pelle, la cassa in acciaio, le lancette mezzo smontate e il vetro rigato, i suoi occhi sembravano illuminarsi, come se quello strumento adatto a contare lo scorrere del tempo potesse ricordargli qualcosa.
Lo aveva gettato contro un muro quando aveva perso il treno. Era un giorno lontano. Stava andando in un luogo ed aveva fatto tardi per colpa del traffico. Aveva preso apposta un taxi per fare in fretta e non perdere tempo a parcheggiare, perché guidava anche la macchina, una vecchia utilitaria che andava ancora a benzina super e che ansimava quando faceva le salite. Quel giorno c’erano stati diversi scioperi, manifestazioni e la città intera sembrava ricolma di gente nervosa ed impazzita.
Davanti una valigetta ventiquattrore in pelle si emozionava nuovamente. L’impiegato gliela porgeva con delicatezza. Era chiusa con la combinazione. Nessuno l’aveva potuta aprire per esaminarne il contenuto. Lui girava i numeri e componeva il codice. La serratura scattava all’istante. La apriva. Dentro era pieno di fogli formato A4, racchiusi con ordine in raccoglitori di plastica colorata. Erano quasi tutti scritti con caratteri a stampa. Erano presenti anche dei grafici che illustravano in modo sintetico l’andamento delle ipotesi di sviluppo. Era il risultato di uno studio approfondito che aveva eseguito per proporsi ad una Società come consulente. Quel giorno aveva un importantissimo colloquio di lavoro nelle alte sfere. Il treno non l’aveva aspettato.
Davanti ciò che restava di un telefonino, gettato con rabbia sui binari, quasi gli veniva da piangere. Aveva cercato di avvisare che aveva avuto una serie di contrattempi e che sarebbe arrivato con il treno successivo, ma la risposta, fredda e laconica, che ne aveva avuto, aveva raggelato ogni suo entusiasmo: “Se non giunge in orario, è inutile che venga, non verrà ricevuto!!”
L’impiegato iniziava a capire.
La cravatta era ancora annodata, tutta sgualcita e ritorta. L’aveva gettata in terra dopo essersela sfilata con rabbia, mentre già correva via da quei binari, che non l’avrebbero portato più da nessuna parte.
Non aveva ancora un nome, non se lo ricordava. Aveva cancellato anche quello per il dispiacere, quando aveva gettato via la giacca. L’impiegato gliela porgeva, dello stesso colore celeste di quella che aveva avuto quel giorno. La guardava: era proprio identica. La indossava: calzava a pennello. Un rigonfiamento sulla tasca interna attirava la sua attenzione. Istintivamente infilava la mano in quella tasca e ne tirava fuori un portafoglio, rimastovi dentro tutto quel tempo. Lo apriva e ne tirava fuori un documento.
L’impiegato chiedeva di poterlo vedere, glielo porgeva. C’era scritto un Cognome ed un Nome, l’apriva: c’era una foto, somigliante, anche se il viso sembrava più allegro. Era proprio il suo. L’impiegato leggeva a voce alta quel Cognome e quel Nome, lui rispondeva: “Sono io! Sono proprio io!”. L’impiegato aggiungeva:”Aspetti! Mi deve firmare per il ritiro degli oggetti!” L’altro: “Va bene!”.
L’impiegato su di un registro appuntava gli estremi degli oggetti che lo smemorato aveva riconosciuto e porgeva a lui la penna per firmare. Egli firmava, si rimetteva l’orologio al polso, si sistemava la cravatta, si metteva il telefonino in tasca e prendeva la valigetta per il manico. Il portafoglio con il documento li aveva già riposti nella tasca interna della giacca. Ringraziava l’impiegato per avergli custodito tutti quegli oggetti e per avergli restituito, insieme ad essi, anche la propria identità e la voglia di riprendere il cammino dal punto in cui si era interrotto.


( da www.raccontioccasionali.blogspot.com , post pubblicato il 1 ottobre 2012 )

Racconto scritto per partecipare al Concorso Felice Daneo, Edizione 2010.

TU CHE VOLI

da http://getabit.wordpress.com/page/2/



Tu che voli
Sopra le nostre teste,
Ci vedi camminare
Ancorati ai nostri passi,
La zavorra che abbiamo dentro
Trattiene i nostri slanci
E invidiamo la leggerezza
Che ti consente di elevarti
Ma non percepiamo delle ali
La fatica del tuo librarti.



(da www.ilsoffioumano.blogspot.com , post pubblicato il 5 gennaio 2012)

IL BELLO DELLA DIRETTA


Venne sorpreso proprio sul più bello:
il burattino di fango non si era ancora animato.

Era un'eternità che modellava la materia di nascosto
ed era quasi riuscito ad imprigionarvi la vita.


Ma con suo immenso stupore
la telecamera gliel'aveva soffiata.

http://www.4uvideo.it/dslr-videocamere
Non gli restò che nascondersi
insieme alla sua lunga barba
in qualche eremo sconosciuto.
https://www.mondospettacoli.it/c/microfoni/


Fuggì in fretta,
ma dal microfono aperto
trapelavano in sottofondo
frasi sconnesse,
oscure maledizioni,
vaghi accenni a diluvi lontani.






( da www.landasurreale.blogspot.com , post pubblicato il 5 gennaio 2012)

Questo scritto è parte integrante della raccolta "Piano di Supremo Attrito, scritto nel 1988.

UNA MOSCA DISPETTOSA


da  http://compalesy.wordpress.com/2010/08/31/quark-a-lesignana-secondo-episodio/



Si sa che le mosche sono tipe curiose: quando possono mettono le zampette dappertutto, veloci come sono non danno il tempo alle persone di coprire le pietanze che hanno cucinato, che vi si precipitano sopra a succhiarne il sapore.
Ma proprio perché vanno sempre di fretta non stanno a preoccuparsi di pulirsi le zampette dopo che sono state a giocare sulla cacca delle mucche in un prato e arrivano di corsa a ronzare intorno ad una torta messa a freddare dopo la cottura.
Le persone non gradiscono di mangiare fette di torta condite con le impronte di mosche di chissà quali sporcizie. Infatti le persone perbene tengono molto all’igiene e prima di mangiare si lavano le mani e mangiano solo usando posate pulite.

La signora Domitilla era una cuoca sopraffina, per sé e per il marito cucinava pietanze prelibate che facevano arrivare al settimo cielo il palato. Sapeva che le mosche era meglio tenerle alla larga e per riuscirci, prima che iniziassero a ronzare, posizionava delle retine fine alle finestre, chiamate zanzariere, che non consentivano l’accesso agli insetti volanti dai moscerini ai calabroni. Gli odori delle pietanze che cucinava aleggiavano intorno alla casa dopo essere usciti dalle finestre aperte e gli insetti erano attratti da quegli aromi invitanti. Si erano tutti accalcati davanti alle retine, provando più volte ad entrare.
Le più insistenti, manco a farlo apposta, erano proprio le mosche che le escogitavano tutte per forzare l’accesso. Ma ogni volta che ci provavano sbattevano la testa sulla retina senza riuscire a raggiungere alcun apprezzabile risultato.

Una mosca in particolare si era incaponita nell’impresa e più delle altre tentava di entrare. L’avevano soprannominata “dispettosa” per via del suo carattere impertinente che la faceva essere fin troppo insistente.
A furia di ronzare intorno alle finestre e camminando in lungo e in largo sopra le maglie delle retine, alla fine in un angolo nascosto della finestra della cucina, trova un piccolo varco che le consente di passare, stringendo le ali e spingendosi a forza.
Gli altri insetti che si erano stancati di tentare, all’improvviso se la sono trovata dall’altra parte della zanzariera che ronzava felice facendosi beffe di loro e che si gettava più volte sulle pietanze che la signora Domitilla aveva preparato.

L’invidia già serpeggiava tra i suoi simili per il raggiunto risultato, quando però il ronzare esasperato aveva attirato l’attenzione del marito della signora, che, armato di paletta, alla dispettosa mosca le suonò di santa ragione in tutta fretta, non dandole nemmeno il tempo di gustare a pieno il sapore della vittoria effimera che aveva raggiunto.

Alle formiche che nel prato l’hanno raccolta morente per condurla nel loro magazzino di provviste per l’inverno futuro, la dispettosa mosca non ha quasi potuto proferir parola e in un sospiro vi ha lasciato tanta vana gloria.


( da www.fratantestorieedaltreancora.blogspot.com , post pubblicato il 18 settembre 2011 )




Ci sono tanti modi di mangiare

da  http://www.cercapasseggini.it/notizie-passeggini/seggiolone-mumo-perco-legno-383.asp




Il bambino piccolo che viene imboccato, ancora non sa come funziona il suo palato, però a furia di mangiare si impara anche ad assaggiare. Spesso non ne vuole sapere e tiene la bocca chiusa a tutti i costi e quella poca pappa, che proprio non gli piace, appena può, la risputa in faccia a chi gliela infila a forza tra le guance.
Bambini più grandi, che i denti li hanno, masticano piano, facendo delle lunghe pause prima di inghiottire e ai genitori li fanno infastidire, perché si stufano di stare continuamente a dire: “Mastica!,Inghiottisci!” e a mangiare impiegano le ore, con il cibo sempre in bocca, freddo, scondito e senza più sapore.
Ci sono poi i ragazzi, che sono i bambini più cresciuti, loro l’appetito lo hanno tutto e mangiano, mangiano a più non posso, che il cibo tocca toglierglielo davanti e farglielo trovare giusto e quando è ora, sennò invece di crescere in altezza, prendono gusto a farlo in circonferenza e da grandi rischiano di trascinarsi senza più entusiasmo.
I grandi, poi, vanno sempre di fretta, mangiano nei ritagli, quello che capita e sbilanciano facilmente l’equilibrio degli alimenti. La piramide alimentare l’interpretano a rovescio e invece di mangiare frutta e verdura a più non posso, s’ingozzano di dolci, formaggi, insaccati e paste a dismisura. Loro sì che i valori li hanno tutti sballati: colesterolo alle stelle, stress, rischio d’infarto ed ictus elevati.
Quei fortunati  che arrivano alla vecchiaia, senza denti e con i vari acciacchi, vanno avanti soprattutto a minestrine e brodini.
I sapori tondi e densi non li digeriscono più e non li assaggiano.



(da www.affabulatorio.blogspot.com , post pubblicato il 27 gennaio 2012)

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from http://media.theparks.it/2010/news/2010-06-05_coney1.jpg





Lost parents
seven year old girl
awaits them
the direction of the amusement park.
Promises not to yell at them
if you rush to get find!


( from www.humordenture.blogspot.com , post published September 29, 2012)

Divorata fabbrica di cioccolato

da  http://felicitaannozero.altervista.org/index.php/index.php?option=com_content&view=article&id=83&Itemid=82#.USiVOB0z3cA




Divorata
fabbrica di cioccolato

l'ultimo pulmann
di visitatori,

all'insaputa di tutti,

era colmo di golosi
estremamente famelici!



(da www.umorismoperdentiere.blogspot.com , post pubblicato il 10 febbraio 2012 )

UTOPIA SBIADITA


In origine era un Fiume solo,
lungo il suo letto si accamparono nei secoli
decine d'industrie tra le più svariate.

La sua forza alimentava loro:
ad ogni goccia un'ingranaggio.

Ogni goccia era un operaio allo stato puro.

Con il trascorrere del tempo ogni operaio
si trasformò in proletario.

Un Fiume proletario faceva paura:
le industrie temevano la sua intrattenibile forza.

Lo sminuzzarono in mille rivoli,
ma gli operai restavano proletari.

Proletariarono tutto
seminando molte delle loro vite nel cammino.

La fatica non era mai abbastanza:
dovevano sempre ricominciare da un nuovo capo
il discorso.

Si costituirono i Sindacati:

…inizialmente associazioni protezionistiche
degli interessi dei lavoratori…

da http://ancilino.wordpress.com/


Camminavano sempre tutti insieme
a qualunque prezzo,
non sapevano che farsene di una vita inutile;
sfilavano anche davanti i cannoni.

Quando l'odio degli eserciti si scatenava
non bastavano le fragili barricate innalzate,

da http://blog.lombardiabeniculturali.it/articoli/330/


non bastavano però nemmeno i cannoni
per spegnere il propagarsi.

Una speranza:
la storia non poteva non essere scalfita,
il mondo non poteva non essere mutato.

La lotta continuava.

Trascorse molto tempo
e la lotta si mutò notevolmente;

tacquero i cannoni.

L'argilla si sfarinava
e come polvere obbediva…
……………………………..
…impotente al vento.

Si fermarono convinti:
la loro bandiera sventolava
alta sul pennone.

Peccato che vi fosse solo stata
apposta appesa come uno specchio
per far contente le allodole.

La sostanza restava essenzialmente la stessa
pur essendosi mutata in apparenza.

Durò solo l'attimo d'un inganno
il tempo di volgere altrove lo sguardo:

la moneta piegò l'ideale più puro
così come cola il metallo nello stampo.

Lo specchiarsi di continuo aiuta a giustificarsi:
ci si accontenta delle proprie posizioni,

inutile continuare
l'ideale era servito:
lo scopo era colmo
e il resto lo si poteva gettare.

E' un peccato che l'utopia non paghi:

prezzolati a bizzeffe
capirono tardi che l'assegno era scoperto.

Si vestirono in fretta con le uniformi
regalate loro da una sartoria specializzata;

la società li riassunse tutti
etichettandoli D.O.C.

Oltrepassarono ogni limite
chiedendo perfino l'impossibile,
ma solo in apparenza:

manovra pilotata abilmente infastidiva,

se usata in maniera opportuna
poteva giustificare

un programmato ritorno all'ordine.

E continuarono ogni tanto a scioperare…
…tanto così…
…per non perdere l'abitudine d'intermezzare…
…la monotonia di una vita tristemente uguale.

Un vecchio, forse un barbone,
accampato da anni davanti
non accettava e con voce sempre più flebile
continuava a dire:

"Eppur tremava"

Ma era un "povero vecchio"
e il mondo non lo ascoltava:

il Fiume era solo un lontano ricordo.



( da www.landasurreale.blogspot.com , post pubblicato il 29 dicembre 2011 )


Il presente scritto è parte integrante della raccolta "Piano di Supremo Attrito" scritta nel 1988

I BAMBINI CHE SALVERANNO IL MONDO


I bambini che salveranno il mondo
Esortazione poetica alla speranza

( 7 - 8 maggio 2005)



                                                                                            Ad ogni figlio,
                                                                                            perché crescendo
                                                                                            non dimentichi mai
                                                                                            di essere stato bambino …

“Solo piccole manine
 possono carezzare con dolcezza
 cuori aridi
 e farli tornare a pulsare.
 Ci vuole il sorriso puro di un bambino
 per cancellare l’odio con l’Amore.”

Questo mondo
Che esiste
Dalla notte dei tempi,
Tramandatoci
Di generazione in generazione,
Si è ammalato
Di tante malattie
Che potrebbero
Farlo morire
Se non riusciremo
Al più presto
A trovare
La medicina adatta.

Il rumore
Assordante
Che nasconde
Il suono dei passi
E riveste di comodità
La vita dei nostri movimenti
Ci consente di risparmiare
Oggi
Il tempo che neghiamo
Un domani ai nostri discendenti.

Le tante industrie
Che producono
Badando al profitto
Spesso non si curano
Degli interessi di chi
Vi vive intorno
E lentamente li avvelena.
    
Metropoli
Sempre più grandi
Raccolgono moltitudini
Di persone che non si conoscono
E quando si incontrano
Per strada
Nemmeno si salutano.

I bisogni fittizi
Che questa civiltà delle macchine
Inculca nelle menti
Attraverso la pubblicità
Manipolano i valori
Delle persone
E ne automatizzano le scelte
Rubandone l’umanità.

Tutto il mondo
Viene considerato
Come un immenso magazzino
Da cui attingere a profusione
Senza preoccuparsi
Degli sprechi e delle vite
Che si cancellano.


La società dell’immagine
Ha dimenticato per strada
La fantasia.
La sua disperata concretezza
Edonistica ha ucciso
La delicatezza e la dolcezza
Dell’immaginazione.
Si consuma rapidamente
Come i fotogrammi che scorrono
Davanti agli occhi
Delle folle osannanti
In rapida successione.


Gli squarci profondi
Che ci hanno diviso
E che continuano a tenere
Lontani i nostri popoli,
Ci impediscono
Di unire le nostre forze
E tentare di accordarci
Sulle rinunce di ognuno
Per il futuro dell’umanità.

La legge del profitto estremo
Regola la vita di miliardi di persone;
Da una parte, una piccola parte
Si sentono e si vivono i benefici
Di questo sistema,
Dall’altra parte, da una gran parte,
Si vorrebbero raggiungere questi benefici
E ci si prepara a farlo.
In mezzo miliardi di persone
Stentano a sopravvivere e spesso,
Stremati dagli stenti, muoiono
Senza che sappiano nemmeno
Il motivo di tanta sofferenza.


Siamo in attesa
Di qualcosa
Che ci salvi
Da questa infelicità
Immensa
Che le nostre mani
E le nostre menti
Hanno costruito
Nel corso dei secoli
E dei millenni
Dell’esistenza
 della nostra specie.


Ma non sappiamo
Se
Come
E quando
Questo qualcosa
Giungerà
In mezzo a noi
E ci indicherà
La strada
Da percorrere
Per aggiustare
Tutto ciò
Che abbiamo rotto.
Nascono nudi
Nei villaggi sperduti
Non vergognandosi
Del proprio aspetto


Ancora piccoli
Sgranano gli occhi
Alla luce
Sorridendo di serenità
Con piccoli vagiti
Che vogliono comunicare
Tutto l’universo più puro
Che hanno dentro.


Si guardano intorno
Mentre tentano
Di compiere i primi passi
Carponi.
E Piano piano
Imparano a riconoscere
Ciò che li circonda.


Giocano con cose semplici
E fanno loro lunghi discorsi
A noi incomprensibili.


Prendono coscienza
Dei propri limiti
Poco a poco
Allungando le braccia
Fin dove arrivano.

Quando si sono fortificati,
Tentano di sollevarsi
Sulle gambe
E provano a camminare,
Sulle prime ricadono.

Giocando
Si educano alla fantasia
E tutto gli è nuovo
E vorrebbero imparare,
Ma sono ancora piccoli.


In piedi
Ritti sulle proprie gambe
Come piccoli capitani
Su vascelli in mezzo agli oceani
Pronti a sfidare
Le tempeste della vita.

I primi passi
Sicuri
Da un punto di partenza
A un luogo stabilito
Senza ripensamenti.

Imparano a comunicare
Poco a poco
Usando le nostre parole

Iniziano a montare delle piccole
Frasi
Con le quali provano
A trasmetterci.

Acquistano scioltezza
Nella lingua,
Iniziano a domandare


Non si accontentano
Delle prime risposte
Date da noi
Che veniamo colti impreparati
E continuano a chiedere
Finché non cadiamo
In contraddizione.

Ci costringono
A riconoscere i nostri errori,
Piccoli d’aspetto
Ma grandi d’animo
Loro non ammettono infrazioni:
Se le regole esistono
Vanno rispettate
Alla lettera e nelle virgole.

I bambini
Che salveranno il mondo
Non hanno paura
Di tenersi per mano
Toccare con le dita
Pelli dai colori diversi.

Si guardano dritto negli occhi
Con sguardi che oltrepassano
E non ascoltano
Il confuso vociare
Di folle timorose di perdere
Qualche inutile primato.

I bambini
Che salveranno il mondo
Li abbiamo anche dentro noi

Se solo riuscissimo
A liberarli
Dalla prigione
Dove sono stati rinchiusi
Dall’arrugginire dei nostri anni

Potremmo camminare
Loro accanto
E farci indicare
La strada da seguire
Per non smarrire
Nuovamente il cammino.

I bambini
Che salveranno il mondo
Non hanno
Fretta di vivere,
Sanno sorridere
Al tepore delle giornate serene
Che camminano a piedi
Ricolmi della gioia di esistere
Insieme alle persone di tutta la terra
In un grande girotondo
Grande al punto
Da abbracciare tutto il mondo
Dove non restano angoli
In cui si nascondono
Sofferenza, cattiveria e guerra.

Questi bambini
Ci doneranno la pace
E crescendo
Ci insegneranno a coltivare
Ogni respiro del nostro petto
Ogni battito del nostro cuore
Affinché diano frutto
Germogliando amore
Nei confronti del prossimo
E non restino più chiusi su se stessi
A inaridire
Nell’avvizzire del mondo.


Solo allora
Sarà salvo
Questo mondo
E il merito
Sarà tutto
Di quei bambini
Che avranno avuto il coraggio
Di ascoltare i sentimenti più puri
Che dettava loro il cuore
E la forza di farsi sentire
Dai grandi, così miseramente intenti
Negli egoismi più spinti


(da www.ibambinichesalverannoilmondo.blogspot.com , vari post pubblicati il 17 settembre 2011)


Nell'ottobre del 2004 avevo scritto alcuni versi di quella che sembrava una semplice ed umile poesiola, come tante altre.
Improvvisamente all'inizio di maggio del 2005, il leggere il motto scelto per un progetto di architettura riguardante una scuola di Roma ("I ragazzini che hanno salvato il mondo") ha agito sul mio animo in una sorta di rimbalzo creativo e la piccola e insignificante poesiola ha iniziato ad allungarsi tirando fuori  rami e foglie da una parte e radici-gambe dall'altra. In soli due giorni si è trasformata in una Esortazione poetica alla Speranza, scaturita completamente di getto.
Successivamente ho capito che il motto in realtà era il titolo di una pubblicazione estremamente originale di Elsa Morante.