sabato 16 febbraio 2013

IL LIBRO


da  http://money.wired.it/finanza/2012/06/18/un-tesoro-di-libro-32455.html


“Noi siamo ciò che ci immaginiamo di essere. Bisogna stare attenti alla propria immaginazione, a non lasciarla troppo a briglia sciolta, altrimenti si potrebbe non riuscire a ritornare indietro.
Non vorrei spaventarvi, né sembrare poco attendibile, ma desidererei raccontarvi quello che mi è capitato.
Me ne stavo appollaiato proprio sul culmine dei miei pensieri, seduto su una sedia con le braccia posate sul tavolo. Ero indeciso se aprire quella copertina impolverata che avevo davanti. Sentivo il bisogno di scambiare due parole con qualcuno, anche diacronicamente. Le pagine più che ingiallite erano consunte e faticavano a girarsi sotto le mie dita, quasi stanche. I polpastrelli scivolavano su tutti quei granelli che ne avvolgevano la superficie e che si frapponevano tra lo scritto e gli sguardi dei lettori, annebbiandone la nitidezza dei margini. Le parole, mezze cancellate, sminuzzavano i loro significati in lamentevoli balbettii che a stento potevano venire ricomposti. L’autore aveva vergato con tratto deciso quei fogli, ma il tempo ne aveva sfumato  il senso e gli occhi faticavano ad udirne la voce.
La biblioteca era semi deserta. I cartelli facevano bella vista dei dettami che vi erano riportati ed incutevano adeguato rispetto. Le poche persone presenti, sparse con accuratezza nelle varie sale che ne componevano gli ambienti, non lasciavano trapelare della loro parvenza che vaghi rumori che scaturivano unicamente dal delicato sfogliarsi delle pagine di quei volumi centenari. Erano perlopiù studiosi, eruditi che cercavano conforto e conferme alle loro ricerche minuziose. Nessuno si sarebbe mai sognato di provocare il benché minimo trambusto: perfino i tarli, che numerosi assediavano il legno antico delle librerie, dei tavoli  e delle sedie, testimoniato dai numerosi e piccolissimi buchi che ne traforavano la superficie, lo facevano con tatto e delicatezza, quasi sottovoce per non infastidire, non solo l’attenzione dei lettori, ma il rispetto del silenzio che quegli ambienti esigevano.
La luce del giorno penetrava a fatica, non tanto per la ristrettezza delle aperture dei muri che separavano dall’esterno, né tanto meno per lo spessore di questi, pur notevole, quanto piuttosto per le schermature che vi erano poste davanti, proprio allo scopo di impedirne il più possibile l’ingresso. La ragione era semplice: una illuminazione eccessiva avrebbe potuto provocare un inevitabile innalzamento della temperatura. Solo un lieve pallore testimoniava la presenza di finestre, la luce, quella elettrica, controllata per intensità e calore proveniva unicamente da apposite apparecchiature, calibrate, per non interferire, né con i libri, né con le persone, creando al tempo stesso gradevoli sensazioni di chiaro-scuri.
Sarà stato forse l’alternarsi dei chiari e degli scuri provocati da quei congegni puntiformi, concentrati ad illuminare prevalentemente sui tavoli o la stanchezza nel seguire a fatica il senso delle parole che stavano scritte di pugno e semicancellate su quei fogli così ingialliti, fatto sta che ad un certo punto mi sembrava che qualcuno mi stesse apostrofando. Succedeva subito dopo un mio sbadiglio. Mi ridestavo dal torpore, ritrovando in un istante tutta l’attenzione. All’inizio non mi sembrava possibile: un attimo prima avevo staccato gli occhi dalla pagina e mi ero voltato non vedendo nessuno nei paraggi. Risentivo quella voce: “ Non mi si vorrà addormentare proprio adesso?!?” – Rialzavo lo sguardo alla ricerca del possibile autore di quella domanda. Intorno non avevo nessuno, né davanti, né dietro. La sala dove mi trovavo continuava ad essere deserta. – “Devo essere proprio stanco!” – Pensavo – “Mi immagino pure che qualcuno mi parli!”
Stavo per rassegnarmi alla convinzione che fosse la sonnolenza a giocarmi brutti scherzi e che fosse il caso che me ne uscissi a respirare un po’ di aria fresca, quando, proprio nel momento in cui le mie mani iniziavano a richiudere il volume, sempre con estrema cura e attenzione, la voce si riaffacciava e questa volta con più impeto:” Ma come abbandona la lettura nel bel mezzo?!!Ma che dico quasi al principio??”- Non potevo non sobbalzare sulla sedia: un po’ per la sorpresa ed il resto per il fatto che non ne individuavo la fonte. –“L’avrà letto, che dico, biascicato si e no per una dozzina di pagine e tra uno sbadiglio e una pennichella!!”- Il tono, oltre che ricolmo d’impeto, assumeva una significativa venatura ironica, quasi sarcastica. Avrei voluto rispondere. In diverse circostanze l’avrei anche fatto.
Ammettevo che come lettore non avevo tenuto un comportamento dignitoso nei confronti dell’opera che avevo sotto gli occhi, ma un momento di deconcentrazione poteva esserci per tutti. Il problema era duplice: da un lato c’erano i cartelli che esigevano il silenzio, dall’altro non vedevo interlocutore, anche se all’improvviso lo sentivo. Lasciavo il libro aperto sul tavolo e provavo ad allontanarmi per cercare qualcuno a cui chiedere spiegazioni per queste voci improvvise. Dopo un paio di passi, una voce da dietro mi giungeva come un dardo nei padiglioni auricolari: “ Che fa si allontana!! Guardi che il libro va riposto!!”- Facevo di si con la testa e intanto proseguivo, senza voltarmi, verso la prima apertura che mi capitava. Oltrepassavo il varco con un senso di liberazione mentre la voce ancora mi reclamava: “ Che tipo!! Se ne va senza dare ascolto!!”-
Nell’altra sala ritenevo ci fosse qualcuno, dato che prima avevo sentito scartabellare delle pagine, invece non c’era alcun lettore. Vi era un libro, antico come quello che stavo consultando, aperto anch’esso e che sembrava si stesse sfogliando, da solo, come se taluno lo stesse leggendo, ma assolutamente trasparente o del tutto invisibile. Perfino le pagine si muovevano in un certo modo, sollevando prima l’angolo in basso e rigirandosi una ad una e dando il tempo di venire lette. Mi avvicinavo per vedere, per verificare se ciò che mi era parso potesse esserlo anche da vicino. Avevo l’impressione di essere osservato e non mi sbagliavo. Le pagine avevano smesso di voltarsi ed una era rimasta in sospeso con l’angolo in basso a destra, leggermente sollevato rispetto al resto del foglio, come se chi la stava leggendo si fosse girato a guardarmi. Sentivo un ammonimento, asciutto e deciso:”Guardi che non è cortese importunare le letture altrui!!- E, dopo un attimo di pausa riprendeva, con un tono più dolce:” Nell’altra sala c’è qualcuno che la cerca!!”-
Sussultavo per la sorpresa di quella voce improvvisa e mi ritraevo sui miei passi, non prima di aver fatto un cenno di scuse con le mani e con il capo.
La biblioteca iniziava a pullulare di suoni, nonostante i cartelli in bella mostra! Cominciavo a chiedermi a chi fossero rivolti tutti quegli inviti a trattenere le parole. Udivo ancora la prima voce nell’altra sala che continuava a richiamare la mia attenzione:”Guardi che ha lasciato un libro, un libro aperto sul tavolo! Non è educato!!”- Anche il tono si faceva sempre meno comprensivo. Non riuscivo a capacitarmi. Avevo oltrepassato un’altra apertura e mi ero immesso in un’ulteriore sala. La mia necessità di trovare conforto in un altro essere umano iniziava ad assumere i connotati della disperazione. Sul grande tavolo non vi erano libri aperti e nessuna persona che si accingeva a sedersi su una delle sedie che lo attorniavano. Gli scaffali che erano posti lungo le pareti non avevano vetri che proteggessero i tomi che vi erano ordinatamente contenuti.
Lambivo la superficie dei ripiani poiché una sedia era rimasta discosta dal tavolo ed occupava gran parte del passaggio. Al mio passare sentivo un forte starnuto provenire dalla terza fila della scaffalatura ed un libro cadeva a terra, aprendosi a caso, con un tonfo attutito appena dalla moquette del pavimento. Subito un grido accorato mi faceva trasalire in fretta dai miei pensieri. Non facevo in tempo a riavermi che un’altra voce si interponeva lungo il mio desiderio di allontanarmi: “Guardi che ha combinato! Perché non guarda dove cammina? Se la sedia era stata lasciata in mezzo un motivo c’era!” – Avrei voluto rispondere, ma proprio dove si era posato il mio sguardo un altro cartello, ancor più rigoroso dei precedenti, riportava un indice posto davanti ad una bocca chiusa, mentre una scritta urlava:”SSSHHHH!!!” – Facevo dei cenni di contrizione per far capire che mi dispiaceva tantissimo per tutto quello che era successo.
Udivo un nuovo starnuto e sentivo un altro libro cadere, questa volta sul mio piede, sempre dalla terza fila della scaffalatura. Istintivamente avrei voluto urlare per il dolore che la mia povera estremità destra mi trasmetteva: doveva essermi caduto una sorta di trattato, vista la voluminosità del tomo. Mi sbagliavo, era un enciclopedia. Era appena il primo volume. Al quinto avevo realizzato che mi dovevo allontanare al più presto se non volevo ritrovarmeli tutti e venticinque sui piedi. Stringendo i denti avevo superato la tentazione di gridare ed avevo guadagnato un po’ di distanza da quella scaffalatura. Una targhetta, collocata esattamente al centro di quel famigerato ripiano, evidenziava una scritta che in parte rispondeva a tutti gli interrogativi che gli ultimi vorticosi eventi mi avevano impedito di pormi: “ALLERGIE VARIE !”
Evidentemente il mio passaggio troppo ravvicinato aveva sollevato qualche allergene depositato sulla moquette del pavimento o nei pressi, mediante un mulinello d’aria al mio transito. Di conseguenza quei volumi, evidentemente sensibili a quelle sostanze, dato l’argomento che trattavano, avevano dimostrato gli effetti della allergia con vigorosi starnuti che ne avevano fatto perdere la precedente collocazione nella libreria. Resomi conto della situazione e non vedendo nessun addetto nei pressi, mi sembrava giusto ricollocare i tomi caduti e mi riavvicinavo. Non l’avessi mai fatto! Subito una voce alterata gridava:”Ma che fa si riavvicina??Per carità! Non le è bastato quello che ha combinato??”- Con il tomo numero cinque in mano e mentre tentavo di riporlo nello scaffale, mi beccavo l’espirazione forte e rumorosa in piena faccia, mentre, nel giro di pochi secondi e preceduti da altrettanti starnuti si precipitavano ai miei piedi i volumi dal sesto al quindicesimo, anticipati di un soffio dal quinto che mi cadeva sull’arto sinistro.
Riuscito, non senza sforzi erculei a liberare il piede destro dalla catasta di tomi che aveva sopra, mi allontanavo da quella micidiale trappola di libri a starnuto, mentre la stessa voce diceva:”Finalmente l’ha capito che deve stare alla larga! Questi sono libri allergici!!”-Con i piedi ancora doloranti iniziavo a pensare che l’allergizzante dovevo essere io, nonostante il mio amore per il leggere. Ovviamente il mio sguardo cadeva sul cartello affisso nei pressi e che, accanto ad un braccio disteso, la cui mano chiusa a pugno, tranne l’indice teso, invitava ad uscire dalla sala, riportava la seguente scritta: “SE NON SAPETE NON PROVOCARE RUMORI MOLESTI, SIETE INVITATI AD USCIRE DA QUESTA SALA !!!” – Accoglievo volentieri l’invito e proseguivo l’esplorazione di quella sempre più enigmatica biblioteca. In lontananza si udiva ancora La prima voce: “Guardi che non è educato lasciare a metà una lettura!!” – Cercavo di ricordare che argomento trattava quel libro che avevo abbandonato.
Per quanto mi sforzassi non ci riuscivo. Più ci pensavo, più mi tornava in mente quella prima voce e mi rammentavo per quale motivo ero andato via da quella sala: stavo cercando altre persone. Finora la mia ricerca sembrava essere del tutto vana. Eppure entrando dovevo pur aver visto qualcuno. Chi mi aveva consegnato quel libro? Ma da dove ero entrato? Cercavo di fare mente locale, ripercorrevo a ritroso tutti i miei passi: il cartello con il braccio teso, i tomi caduti sui piedi dopo gli starnuti, la sedia in mezzo al passaggio, il cartello con l’indice sulla bocca, il libro che si sfogliava da solo in mezzo ad un grande tavolo, il libro che stavo leggendo. Ecco, prima di quel libro non ricordavo nulla. Era come se tutto iniziava da quel punto. Ma lì come c’ero arrivato? Cominciavo a preoccuparmi seriamente. Mi sembrava di essere finito in una sorta di labirinto da cui non si riusciva ad uscire. A differenza di quello però gli ambienti non erano stretti e soffocanti e c’era la possibilità di leggere tanti volumi.
Quest’ultima supposizione però la vedevo smentita nella sala successiva. Entravo nella prima apertura che trovavo; al posto di uno grande, come nella precedente, c’erano dei piccoli tavoli, ognuno con una sedia davanti ed una luce accesa che illuminava il libro che vi era collocato sopra il ripiano. Ero attratto da tutti quei libri chiusi e mi avvicinavo ad ognuna di quelle scrivanie per leggere i titoli ed aprire i volumi. Per quanto provassi non c’era verso che ci riuscivo: i tomi nascondevano i titoli e non si lasciavano sfogliare nemmeno ad implorarli, ovviamente a gesti perché i soliti cartelli impedivano qualunque espressione vocale. Una voce categorica però si sentiva. Non so da dove proveniva, ma era molto incisiva e perentoria: “Chi lascia un testo a metà, non ha il diritto di principiarne altri! Nemmeno può compitarne i titoli!!”-
Mi sembrava una persecuzione. L’intera biblioteca mi obbligava a proseguire la lettura interrotta. Avrei voluto giustificare il mio comportamento: non avevo interrotto per disprezzo, avevo solo necessità di prendere una boccata d’aria e poi avevo udito quella voce, senza vedere nessuno e tutte le altre. Stavo solo cercando altre persone, perché iniziavo a provare un crescente senso di solitudine. Per carità, stare in compagnia di tanti libri non poteva che farmi piacere, però sentivo il bisogno di trovare anche dei miei simili. Da quando erano state inventate le biblioteche, non erano state popolate solo dai libri, ma anche dai lettori che vi andavano per via dell’amore che nutrivano per i libri che in esse erano contenuti. Come facevo ad esprimere tutti questi miei pensieri senza pronunciare alcuna parola? Mi rispondeva a modo suo un cartello: il solito braccio disteso con l’indice allungato ed il resto delle dita chiuse accompagnava una scritta, una volta tanto permissiva:
“CHI AVESSE VOGLIA DI DIRE QUALCOSA, PUO’ ESPRIMERSI NELLA SALA MIMI!” Ormai non mi sorprendevo più di nulla. Varcavo una soglia e scostavo una tenda spessa e scura, come quelle che si incontrano all’ingresso delle sale cinematografiche. Invece di accedere ad una sala di biblioteca, mi scoprivo su di un palcoscenico. Appena arrivato si accendevano dei faretti e mi ritrovavo illuminato ed al centro della scena. Il panico era inevitabile: non ero avvezzo a simili esibizioni. Recuperavo a stento il filo di quello che avrei voluto dire e iniziavo a mimare le frasi che avrei voluto esprimere a parole con gesti il più possibile comprensibili. Non vedevo che pubblico era in sala: la luce dei faretti mi abbagliava al punto da non farmi vedere oltre il limite della pedana su cui gesticolavo.
Al termine di quella mia esibizione, calava il sipario, senza alcun applauso e non si rialzava. Stavo perdendo le speranze, quando un evidente e rumoroso sfogliarsi di pagine, proveniente da dietro quella stoffa scura e pesante, testimoniava un particolare apprezzamento da parte di un qualche pubblico. In più l’accensione di un faretto, direzionato verso il sipario stesso metteva in luce un cartello che indicava la direzione da intraprendere alla mia sinistra. Oltrepassavo titubante quell’ulteriore apertura. Ero in un mondo di libri e, volente o nolente, mi dovevo adeguare alle loro regole.

Mi sentivo scuotere. Una voce mi diceva:”Signore, Signore!! Ma cosa fa, mi dorme sul libro antico?? Si svegli, che lo rovina!!” – Mi ridestavo. Aprivo gli occhi tirandomi su. Intorno risatine accompagnavano il mio risveglio. C’erano altre persone e mi guardavano. Riconoscevo la sala con il tavolo grande e delle sedie intorno. Era la sala dei Codici. Quella dove ero seduto al principio, per consultare quel grande libro. Stavo preparando la Tesi di Laurea ed ero venuto in questa fornita biblioteca per completare il reperimento del materiale. L’inserviente non aveva certo molto tatto nel destarmi: a lui interessava che non si fosse rovinato il libro. Per fortuna, come dicevano altre persone presenti, solo da pochi istanti mi ci ero posato sopra, dopo aver pencolato per alcuni minuti il capo, in evidente stato di spossatezza.
Adesso mi si chiariva tutto. Era stato un sogno. Incredibile, assurdo, deformante, ma solo un sogno. Non c’erano più le voci, i libri che si sfogliavano da soli o che cadevano starnutendo sui piedi, i cartelli con le braccia, le bocche, i pugni chiusi e gli indici tesi. Alcuni cartelli vi erano, ma discreti nell’invitare i lettori al rispetto del silenzio, per favorire la concentrazione con semplici e gentili frasi. Non vi era la moquette ad attutire i passi. C’erano i lettori, per fortuna, tanti miei simili che ancora frequentavano questa biblioteca. L’inserviente aveva ripreso il libro, lasciando sul tavolo il mio blocco degli appunti dove avevo iniziato ad annotare le notizie rilevanti che vi avevo trovato. Richiudevo le mie cose nella borsa che avevo lasciato nell’armadietto lungo il corridoio vicino all’ingresso, dopo aver ripreso il documento dall’addetto alla registrazione dei visitatori e finalmente varcavo l’uscita. Non mi sembrava vero ritrovarmi fuori. Vedevo il cielo azzurro, la luce del sole e potevo muovermi liberamente lungo i marciapiedi e ritornare a casa …
Ma quale casa? Avevo nuovamente immaginato!! Come facevo ad andare a casa se non avevo le gambe? Avrei voluto dire qualcosa, ma le mie parole erano già tutte scritte. Avevo decine di pagine fitte di lemmi e di punteggiatura, così come tanti miei simili e tutti insieme abitavamo in questo grande condominio costituito di scaffalature, suddivise per generi, per argomenti e per fasce d’età di lettori. Insieme aspettavamo di essere letti, ma era sempre più raro che qualcuno ci prendeva in mano. Quelle poche volte che ciò avveniva sembrava che il mondo poteva rinascere e rifioriva negli occhi avidi che si nutrivano di quelle parole e che si illuminavano radiosi immaginando l’universo immenso che vi era racchiuso dentro.
Poi mi ricordavo. Una volta avevo scritto un libro, piccolo, ricolmo di parole, ordinate secondo un senso che allora mi era sembrato giusto. Non immaginavo davvero che alla lunga ci sarei finito dentro, rimanendo prigioniero di quello che ci avevo messo e che non avrei potuto cambiare più nulla, nemmeno una virgola!
A saperlo non l’avrei concluso con un punto fermo, ma avrei lasciato a metà il discorso, con tre puntini o con una parentesi aperta, tenendo anche delle pagine bianche per far capire che avrei voluto aggiungere dell’altro e che me ne era mancato il tempo. In quarta di copertina in poche righe era riportata l’esile ampiezza della mia parabola letteraria bloccata sulla carta. L’editore però era stato perentorio: “La carta costa e non se ne può lasciare in più!”- ed aveva rincarato: “Quella bianca è un lusso che non mi posso permettere. Di questo passo chiunque può aggiungere altro  senza che gli si possa chiedere di renderne conto. Troppo comodo avere un luogo dove si è liberi di scrivere e modificare a seconda di quello che si sente di voler dire!”- Non senza una punta di malcelata soddisfazione aveva concluso:”Pubblicare vuol dire cristallizzare in un oggetto unico e immodificabile, quasi fosse una pietra preziosa, il contenuto di un percorso compiuto ed espresso attraverso lemmi articolati in concetti trattenuti dalla punteggiatura e dall’inevitabile asciugarsi dell’inchiostro sui fogli imprigionati dalla rilegatura. Ogni autore ne è a conoscenza. Il  prezzo che deve pagare per sperare di raggiungere la notorietà è nel rinunciare alla libertà di disporre delle sue parole una volta stampate. Non sono possibili ripensamenti!” Avevo commesso la leggerezza di non aver dato il giusto peso a quelle affermazioni.
Se tante volte vi venisse lo sghiribizzo di immaginare, lasciate stare, non sapete quello che può capitarvi. Se proprio non avete di meglio da fare, fatelo pure, ma sappiate: è a vostro rischio e pericolo. Vi ho avvisato.
Quando vi capita venite a trovarmi, sono sempre in biblioteca.”

Il lettore non ci aveva capito molto. Aveva preso per caso quel libro e lo aveva letto, più che altro incuriosito dal titolo “Noi siamo ciò che ci immaginiamo di essere”. Seduto in un angolo nascosto, illuminato da una piccola luce, non si era nemmeno accorto del procedere della quarta dimensione, tanto da immergersi a fondo nella lettura. La biblioteca era deserta. La bibliotecaria lo aveva dimenticato ed era andata via chiudendolo dentro. Era rimasto lì, circondato da libri. L’indomani l’avrebbero ritrovato o sarebbe sparito anche lui come l’autore del libro che aveva appena terminato?


( da www.raccontioccasionali.blogspot.com , post pubblicato il 2 ottobre 2012 e da www.landasurreale.blogspot.com, post pubblicato il 5 febbraio 2012)


Il presente racconto era stato scritto per partecipare alla Edizione  dell'anno 2011 del Premio Arturo Loria organizzato dalla Biblioteca A.Loria del Comune di Carpi (MO).
In effetti, trattandosi di una Biblioteca avevo pensato che il soggetto più adatto potesse essere un libro, magari piuttosto particolare e dai risvolti inattesi.
Il notevole numero di visualizzazioni su Landa Surreale mi ha spinto a riproporlo anche qui, sperando che qualcuno si fermi ad appuntarmi le sue impressioni nello spazio dei commenti.

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