sabato 23 febbraio 2013

L'identità di uno smemorato


da  http://it.wikipedia.org/wiki/File:Stazione_di_Cattolica.jpg



Lo avevano trovato disteso su di una panchina della stazione. Dormiva avvolto nei vestiti che gli erano rimasti. Indosso non aveva documenti, non si ricordava chi fosse, né cosa facesse in quel posto. Era lì da un po’.
Le guardie lo avevano scortato all’ufficio della stazione. Il dirigente gli aveva posto delle domande, ma le sue risposte erano evasive. Continuando a interrogarlo, sembrava si facesse un po’ di luce nei suoi ricordi avvolti dalle nebbie.
Aveva perduto qualcosa oltre alla memoria, ma non sapeva cosa fosse.
Incuriositi da questo signore, provavano a condurlo all’ufficio oggetti smarriti: magari la vista di qualche accessorio perduto poteva aiutarlo a ricordare. L’impiegato era gentile e non si tirava indietro, anche se l’impresa sembrava subito ardua. Il dirigente e le guardie, vista la piega che prendeva la questione e dato che non avevano proprio del tempo da perdere, lo affidavano all’impiegato e si allontanavano per tornare ai loro impegni.
Ci voleva buona mezz’ora e, a furia di tirare fuori cose smarrite di tutti i generi: ombrelli, cappelli, cravatte, borse, cappotti, maglioni, calzoni, scarpe, orologi, etc. Improvvisamente, davanti un vecchio orologio da polso, con il cinturino in pelle, la cassa in acciaio, le lancette mezzo smontate e il vetro rigato, i suoi occhi sembravano illuminarsi, come se quello strumento adatto a contare lo scorrere del tempo potesse ricordargli qualcosa.
Lo aveva gettato contro un muro quando aveva perso il treno. Era un giorno lontano. Stava andando in un luogo ed aveva fatto tardi per colpa del traffico. Aveva preso apposta un taxi per fare in fretta e non perdere tempo a parcheggiare, perché guidava anche la macchina, una vecchia utilitaria che andava ancora a benzina super e che ansimava quando faceva le salite. Quel giorno c’erano stati diversi scioperi, manifestazioni e la città intera sembrava ricolma di gente nervosa ed impazzita.
Davanti una valigetta ventiquattrore in pelle si emozionava nuovamente. L’impiegato gliela porgeva con delicatezza. Era chiusa con la combinazione. Nessuno l’aveva potuta aprire per esaminarne il contenuto. Lui girava i numeri e componeva il codice. La serratura scattava all’istante. La apriva. Dentro era pieno di fogli formato A4, racchiusi con ordine in raccoglitori di plastica colorata. Erano quasi tutti scritti con caratteri a stampa. Erano presenti anche dei grafici che illustravano in modo sintetico l’andamento delle ipotesi di sviluppo. Era il risultato di uno studio approfondito che aveva eseguito per proporsi ad una Società come consulente. Quel giorno aveva un importantissimo colloquio di lavoro nelle alte sfere. Il treno non l’aveva aspettato.
Davanti ciò che restava di un telefonino, gettato con rabbia sui binari, quasi gli veniva da piangere. Aveva cercato di avvisare che aveva avuto una serie di contrattempi e che sarebbe arrivato con il treno successivo, ma la risposta, fredda e laconica, che ne aveva avuto, aveva raggelato ogni suo entusiasmo: “Se non giunge in orario, è inutile che venga, non verrà ricevuto!!”
L’impiegato iniziava a capire.
La cravatta era ancora annodata, tutta sgualcita e ritorta. L’aveva gettata in terra dopo essersela sfilata con rabbia, mentre già correva via da quei binari, che non l’avrebbero portato più da nessuna parte.
Non aveva ancora un nome, non se lo ricordava. Aveva cancellato anche quello per il dispiacere, quando aveva gettato via la giacca. L’impiegato gliela porgeva, dello stesso colore celeste di quella che aveva avuto quel giorno. La guardava: era proprio identica. La indossava: calzava a pennello. Un rigonfiamento sulla tasca interna attirava la sua attenzione. Istintivamente infilava la mano in quella tasca e ne tirava fuori un portafoglio, rimastovi dentro tutto quel tempo. Lo apriva e ne tirava fuori un documento.
L’impiegato chiedeva di poterlo vedere, glielo porgeva. C’era scritto un Cognome ed un Nome, l’apriva: c’era una foto, somigliante, anche se il viso sembrava più allegro. Era proprio il suo. L’impiegato leggeva a voce alta quel Cognome e quel Nome, lui rispondeva: “Sono io! Sono proprio io!”. L’impiegato aggiungeva:”Aspetti! Mi deve firmare per il ritiro degli oggetti!” L’altro: “Va bene!”.
L’impiegato su di un registro appuntava gli estremi degli oggetti che lo smemorato aveva riconosciuto e porgeva a lui la penna per firmare. Egli firmava, si rimetteva l’orologio al polso, si sistemava la cravatta, si metteva il telefonino in tasca e prendeva la valigetta per il manico. Il portafoglio con il documento li aveva già riposti nella tasca interna della giacca. Ringraziava l’impiegato per avergli custodito tutti quegli oggetti e per avergli restituito, insieme ad essi, anche la propria identità e la voglia di riprendere il cammino dal punto in cui si era interrotto.


( da www.raccontioccasionali.blogspot.com , post pubblicato il 1 ottobre 2012 )

Racconto scritto per partecipare al Concorso Felice Daneo, Edizione 2010.

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